"Pensa come un uomo d'azione, agisci come un uomo di pensiero." (Henri Bergson)

I Nuovi Occhi.
Per tutte quelle iniziative, notizie e tematiche attuali che i mass-media trascurano o trattano con superficialità.
Spesso, infatti, la rilevanza di un tema sembra derivare maggiormente da esigenze di audience piuttosto che dall'importanza che l'informazione stessa dovrebbe richiedere. In quest'ottica gli eventi negativi prevalgono sempre sulle buone notizie, finendo per farci credere di vivere in un mondo peggiore di quello in cui in realtà viviamo.

L'obiettivo del blog è quello di stimolare e incentivare una
riflessione critica riguardo alcuni spunti di attualità che consenta di filtrare le informazioni, ma anche quello di evidenziare ciò che di positivo c'è, le “belle notizie” appunto, che non riescono a emergere perchè sommerse dall'infinità di quelle cattive; riuscire quindi, tramite i nuovi occhi, a osservare e comprendere più profondamente ciò che accade ogni giorno e ci circonda.

giovedì 29 luglio 2010

Energia solare del deserto per illuminare il mondo: il progetto Desertec







Un'idea che promette di dare luce al pianeta sfruttando una porzione desertica grande come la Lombardia


Energia verde e integrazione dei mercati elettrici col Maghreb. Per la Commissione europea è questa la strategia vincente per il futuro dei Paesi membri dell’Unione. È anche, manco a dirlo, il modo più efficace per evitare tragedie ambientali come quella che, da ormai più di due mesi, sta affliggendo il Golfo del Messico e mettendo a serio rischio la credibilità del presidente statunitense Barack Obama.

Per il commissario Europeo all’Energia, Gunther Oettinger, la soluzione auspicabile si chiama Desertec: l’innovativa idea, tutta tedesca, che potrebbe garantire la fornitura di elettricità per i cittadini europei mediante lo sfruttamento dell’energia solare dei deserti del Nord Africa e del Medio Oriente. Qualche giorno fa il piano è stato discusso ad Algeri dallo stesso Oettinger e da Youcef Yousfi, Amina Benkhadra e Afif Chelbi, ministri responsabili dell’energia di Algeria, Marocco e Tunisia. “Sono certo – ha sostenuto al termine del vertice Oettinger – che nei prossimi cinque anni arriverà al mercato europeo la produzione elettrica dei primi impianti localizzati nell’area nord africana”. Per il commissario la strada è ancora lunga – si parla di 20-40 anni per portare a termine l’intero progetto – ma fattibile anche se serviranno ingenti capitali per poterla percorrere.

Il principio cardine di Desertec si fonda sullo sfruttamento dei raggi solari nelle zone desertiche che verranno trasformati, grazie all’uso di grandi impianti, in vapore che, a sua volta, attiverà una turbina che genererà elettricità come una comune centrale. I numeri prospettati dal consorzio Desertec, responsabile del progetto e formato da 12 aziende, sono davvero impressionanti: basterebbe coprire con campi collettori tre millesimi di area desertica, 40 milioni di km quadrati, per soddisfare la domanda energetica mondiale equivalente a 18 mila TW/h all’anno.

L’obiettivo fissato ad Algeri con un piano d’azione concreto sottoscritto dai responsabili dell’Energia è, per ora, molto meno ambizioso e punta a rifornire nei prossimi cinque anni l’area EUMENA (Europa, Medio Oriente e Nord Africa) grazie all’attivazione di un progetto pilota. La porzione elettrica destinata al fabbisogno degli abitanti del Vecchio Continente sarà, per il momento, solo del 15 percento. Ma l’impegno di Bruxelles sembra essere molto serio in virtù dell’approssimarsi della scadenza, fissata entro il 2020, dell’obbligo per l’Ue di produrre da fonti verdi il 20 percento della sua energia totale. Desertec, secondo quanto sostenuto da Oettinger, potrebbe permettere di raggiungere questo e altri risultati visto che, come sostiene Gerhard Knies, il presidente del Consiglio di vigilanza del consorzio, “In meno di sei ore i deserti ricevono più energia dal sole di quanto l’umanità ne consuma in un anno”. Per i promotori della piattaforma, fra cui l’italiana Enel Green che è entrata nel consorzio a marzo, i vantaggi sarebbero più d’uno. Con un lavoro costante volto alla costruzione della rete di collegamento sottomarina destinata al trasporto di tutte le forme di energia non inquinante, la rete Desertec potrebbe, con un’area di impianti estesa quanto la Lombardia, dare accesso sufficiente all’energia al 90 percento della popolazione mondiale. Nessun problema neanche per quanto riguarda le distanze dal momento che le linee moderne di alta tensione che si useranno manterranno il livello delle perdite di energia sotto il 3 percento per ogni 1000 km. E ancora, potranno attivarsi nuovi posti di lavoro nei paesi del Maghreb: per la costruzione di un pannello da 250 MW saranno impiegate mille unità fra operai e ingegneri per circa 2-3 anni. In più, l’enorme quantità d’energia, basterà anche per desalinizzare grosse quantità di acqua marina che sarà destinata a quei Paesi che già da ora arrancano a trovare risorse disponibili di acqua potabile. Gli studi già effettuati sostengono che con un campo di collettori da 250 MW e una turbina da 200 MW si potranno depurare 100 mila metri cubi d’acqua al giorno: più di 4 milioni di litri all’ora.

Nonostante i vantaggi sulla carta c’è già chi solleva numerose obiezioni. In primo luogo sulla voce “costi d’opera” che, secondo un primo preventivo, ammonterebbero a 450 miliardi di euro: necessari a costruire 20 linee di trasmissione da 5 GW l’una. Un’enormità che, rassicurano dal consorzio, potrebbe essere raggiunta da subito “con le misure adeguate come le tariffe fisse, già sperimentate in Spagna e Germania. La necessità di questi provvedimenti – aggiungono da Monaco – si ridurrebbe o sparirebbe se si sopprimessero le sovvenzioni statali alle energie fossili o nucleari e si fabbricassero componenti su larga scala”. Attualmente le tariffe sarebbero proibitive se si pensa che sull’elettricità generata dal sole graverebbe una spesa che oscilla fra i 125 e i 130 euro per MW/ora contro i 48 euro dell’energia prodotta da centrali a carbone. Uno sforzo economico che, tuttavia, potrebbe diminuire con la standardizzazione del prodotto che, quando definitivamente operativo, potrà garantire un perfetto equilibrio domanda/offerta e, quindi, evitare gli sprechi. Così come sarà assicurata la disponibilità di elettricità anche durante la notte e i periodi di eccessiva nuvolosità visto che la super-griglia di collegamento potrà essere usata anche per il trasporto di gas e biocombustibili. Il procedimento è già operativo dal 1985 in California dove più di un’azienda vi ha fatto ricorso per uso commerciale. Il taglio economico coinvolgerebbe anche, leggi caso BP, i costi addizionali diretti o indiretti per possibili danni ambientali e per l’eliminazione di scorie nell’ambiente.

Cosa manca dunque? Dal consorzio ripetono che l’unico elemento che impedisce l’avvio del progetto è la mancanza di un quadro politico solido in alcuni stati che saranno i potenziali produttori di elettricità solare. Non sembrano bastare le previsioni degli ideatori che sostengono “In caso di una interruzione volontaria di fornitura, i Paesi produttori perderanno immediatamente le entrate provenienti dalla vendita di energia, al contrario di quanto accade per le energie sviluppate dai combustibili fossili che possono conservarsi e vendersi in un secondo momento a prezzo più alto. A questo si sommerebbe la perdita di fiducia nelle nazioni del Medio Oriente e del Nord Africa da parte dei loro clienti e dei futuri finanziatori”. Questi ultimi, sia pubblici che privati, per quanto estremamente interessati all’affaire, non metteranno un centesimo senza aver precedentemente ricevuto garanzie sulla sicurezza dei propri investimenti.

di Antonio Marafioti

Fonti:

- http://www.desertec.org/downloads/summary_it.pdf;

- http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/05/energia-solare-del-deserto-per-illuminare-il-mondo-la-soluzione-ai-disastri-ambientali/36556/

lunedì 19 luglio 2010

La lotta delle formiche

Qualcuno lo dice: Non è solo il paese dei furbi.
Finalmente - forse - si comincia a muovere qualcosa.




La lotta delle formiche.
Quell’Italia che fa ancora il proprio dovere




Buongiorno. Sono il signore che paga il biglietto del tram. La volontaria che assiste gli anziani soli. Il cittadino che non evade le tasse. La signora che chiede per favore. Il pensionato che fa la coda negli uffici. La dirigente che sa ascoltare. Il medico che non guarda l’orologio. L’artigiano che non bara sui conti. Lo studente che non crede alle lotterie.

Io non sgomito. Non appaio. Non cerco scorciatoie. Non mi arrendo. Lavoro a volte anche per gli altri. Mi fermo sulle strisce. Non getto mozziconi nelle strade. Aspetto il mio turno per parlare. Non parcheggio sul marciapiede e neanche in seconda fila. Faccio il mio dovere. Studio, perché penso sia importante per vincere i concorsi. Vado a votare e non al mare. Mando i miei figli alla scuola pubblica. Non penso a veline o tronisti. A volte inseguo le mie passioni..

Lettere dal Paese dei Nessuno, dall’Italia dei (cittadini) dimenticati che scrivono ai giornali per avere una speranza e riassumono il declino di un vivere comune, intaccato da una terribile domanda: ma chi te lo fa fare? Giovani che si spaventano: «Ho paura per il futuro mio, del mondo, di tutti, non riesco a vedere il prosieguo della storia che il presente ci sta raccontando» (Martino, vent’anni). Anziani che si deprimono: «Sono avvilita, disgustata. Tutti rubano, tutti mangiano, tutti si fanno appoggiare o raccomandare. Se non sei così ti tagliano fuori » (Barbara, settantacinque anni). Ragazzine che si interrogano. Come Giulia. Storia esemplare che non fa notizia, ma indica il retropensiero che aleggia su di noi quando prendiamo un impegno: ne valeva la pena?

Per tutto l’anno, finite le lezioni, due volte la settimana, Giulia si fa cinquanta chilometri per frequentare la scuola di ballo più famosa d’Italia. E dopo due ore alla sbarra e cinquanta chilometri di ritorno, è di nuovo a casa a fare i compiti. È brava, in classe e nella danza. Non ha tempo per playstation, Xbox, non si stordisce davanti alla tv. La vedi in giardino alla prima chiazza di sole esercitarsi nei passi e nelle ruote: su una mano, su due mani, di lato. Se riuscirà a continuare sarà ammessa alla frequenza quotidiana: vorrà dire la scuola, poi cinquanta chilometri, la lezione alla Scala, altri cinquanta chilometri, i compiti e così via, salvo i giorni delle prove per gli spettacoli, quando sarà impegnata fino a sera. Per anni e anni, ogni anno nel timore di non passare: pena l’esclusione dalla scuola di danza.

Già da ora qualche amica comincia a non capire. Si domanda il perché di tanto impegno, tanto stress, tanta fatica. Si chiede perché Giulia si diverta ad andare avanti e indietro rinunciando a molte cose divertenti, quando basta apparire in una trasmissione tv o ancheggiare un po’ per raggiungere lo stesso obiettivo: uscire dalla mischia, avere un posto in prima fila. Si spendono milioni di euro in tv per valorizzare pupe, veline e anche velone. E si sbeffeggia più o meno involontariamente chi ha scelto un impegno, chi fa coscienziosamente il proprio lavoro. «Pagano ancora il sacrificio, lo studio, la fatica in questo Paese?», è la domanda che Giulia invia nel pozzo delle mail, cercando una non scontata risposta.

C’era una come lei una volta a Milano. Era figlia di un tranviere. Coi sacrifici e con il talento è diventata Carla Fracci. Ma non c’è più il futuro di una volta, scrivono oggi i writer sui muri. Nel paradosso temporale di un graffito il semiologo Francesco Casetti legge il bisogno di un’aspettativa non banale. «Si invoca il futuro, che non c’è ancora, non a partire dal presente, ma dal passato che non c’è più. Ieri c’era il senso del domani: oggi questo senso manca. E si deve andare a ciò che non c’è più (lo ieri) per poter recuperare ciò che non c’è ancora (il domani)».

Bisogna affidarsi alla memoria, allora, perché le opportunità non stanno nell’orizzonte geografico dei vari Nessuno che rumoreggiano dalle caselle della posta. Rispetto a ieri, la ragnatela di intrallazzi ha inquinato l’aria e ristretto i confini del galateo civico, come ha scritto Sergio Romano. «Il declivio del nostro vivere comune è intaccato dai comportamenti scorretti, a volte spregevoli, diventati prassi abituale», è la tesi di Maurizio Viroli, che alla decadenza delle buone pratiche ha dedicato una lunga riflessione e un libro dal titolo esplicito (La libertà dei servi, Einaudi).

«Quando si dirà che c’è un Paese anche per i Nessuno che tirano la pialla?», sollecita una dottoressa che a quarant’anni ha strappato il contratto definitivo di assunzione. Le donne in medicina faticano parecchio a trovare un posto, scrive: quando sono brave e competitive, non allineate allo standard della rampante o dell’amica del boss, le stroncano subito. Se hanno dei figli vengono penalizzate. Se si danno troppo da fare vengono redarguite. Se non si allineano, sono emarginate. Il mobbing nei reparti è prassi abituale. Senza sponsor politici negli ospedali difficilmente si fa carriera...

Si vagheggia un new deal civico, la scoperta di nuovi eroi. Si chiede un sussulto alla politica. Massimiliano Panarari, docente di Scienze politiche all’Università di Modena (L’Italia da Gramsci al gossip, Einaudi) profetizza l’abbattimento dell’impasto micidiale che alimenta la sottocultura e l’antipolitica. Ma non a breve: «La visione del mondo in Italia è basata troppo sull’irrealtà». Lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli è ancora più scettico: «Io ho paura che questa società non si domandi più nulla, chieda solo e soltanto tecnologia: la tecnologia svuota, modifica i comportamenti, ci indica quel che serve a sopravvivere bene ma non risolve il senso della vita. A poco a poco stiamo diventando dei primitivi tecnologizzati in una civiltà dell’ingiustizia».

Poveri Nessuno, abbarbicati alla speranza di un Paese normale dove buongiorno, come diceva Zavattini, vuol dire davvero buongiorno. Formichine inattuali nel generale appiattimento verso la società della convenienza, che rischiano di essere schiacciate tra scarpe gigantesche e pietraie desolate, come immaginava vent’anni fa Anna Maria Ortese in un memorabile racconto milanese. Un bimbo, scivolato per disgrazia sotto le ruote di un tram, che offre al padre angosciato una riflessione fulminea sul senso della vita: «Noi siamo come le formiche, vero, papà?».

Bisogna forse dire «Basta!», come fa il designer Giancarlo Iliprandi che dal Politecnico di Milano teorizza un movimento culturale per cambiare aria e mette tra i capifila un grande centenario come Gillo Dorfles. «Basta a quello che non ci piace/ Basta senza sporcare i muri/ Basta per comunicare la voglia di cambiare».

O chiamarsi fuori, come Luca Goldoni, investigatore di lungo corso dei comportamenti nazionali, che a un certo punto si è reso conto di non abitare più nello stesso Paese in cui era nato. «È successo quando ho letto di una telefonata intercettata tra l’amica di un politico e un’ex compagna di classe in attesa di un provino tv. "Non c’era verso di farmi dare un contratto", diceva una. E l’altra: "E come hai fatto a ottenerlo?". "Non c’era modo di convincerlo". "E allora?". "E allora gliel’ho data"».

Non importa chi sei, ma chi conosci, si filosofeggia dai blog studenteschi. Servirebbe un antivirus alla cultura della convenienza, «perché se non ricostruiamo una società fondata sui doveri reciproci non sapremo nemmeno più godere dei nostri diritti », spiega Viroli. Servirebbe qualche gesto di coraggio in un Paese ricattato dall’egoismo e dalle cricche. «Cominciamo a difendere i Nessuno mettendo qualche sassolino nelle scarpe dei grandi — dice don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus — e facciamo qualcosa per le vite di scarto, magari scuole per i bocciati da questo sistema poco umano, come don Milani a Barbiana». Esempi, responsabilità, impegno, pulizia morale: l’unico parametro legalmente riconosciuto non può essere quello del denaro, scrivono in tanti. Poi un cittadino indignato lascia cadere una domanda. «Chi è arrivato in alto con gli intrallazzi, può avere soprassalti morali?». Noi, come le formichine della Ortese, dobbiamo sperare. Ma è legittimo dubitare.

Giangiacomo Schiavi
18 luglio 2010

Fonte:

- http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_18/schiavi_senso_civico_605a76ec-9296-11df-929c-00144f02aabe.shtml

lunedì 7 giugno 2010

The World Environment Day


Il 5 Giugno è stata la giornata mondiale dell'ambiente.

Ci tenevo a fare un cenno affinchè, anche se trascorsa, non passi inosservata.


TRADIMENTI - Troppi i tradimenti perpetrati dall’uomo nei confronti dell’ambiente, negli ultimi tempi. Nel Golfo del Messico, da oltre un mese, la Bp tenta di arginare il fiume di petrolio che sgorga dal fondo (un milione di litri al giorno), risultato di un incauto sfruttamento delle risorse naturali. Tutti fanno voti che il quarto tentativo di tappare la bocca del pozzo fuori controllo abbia successo, come sembra dalla prime dichiarazioni; in caso contrario la marea nera, trasportata dalle grandi correnti oceaniche, potrebbe diffondersi in tutto l’Atlantico, e il disastro balzare dalla scala locale a quella planetaria. Per restare in Messico, a Cancun, fervono i preparativi della prossima conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (29 novembre-10 dicembre) che ha all’ordine del giorno la formulazione di un nuovo Protocollo per la tutela dell’atmosfera e del sistema climatico. Dopo il clamoroso flop dell’anno scorso a Copenaghen, le attese che il vertice di Cancun possa dare continuità ai patti di Kyoto, rilanciando un programma condiviso di riduzione dei gas serra, sono alte. Ma il persistente stallo dei negoziati, proseguiti nel frattempo a Bonn, non lascia ben sperare: Stati Uniti da una parte, Cina India e altri Paesi in rapido sviluppo dall’altra, non sembrano ancora maturi per entrare a pieno titolo nel meccanismo degli impegni di riduzione vincolanti. E mentre incombe la scadenza dell’attuale trattato climatico (2012), già si parla di rinviare la decisione al successivo vertice del Sud Africa.


BIODIVERSITÀ - Non vanno tanto meglio le cose sul fronte delle iniziative per limitare la perdita di biodiversità, cioè la scomparsa delle specie viventi provocata dall’impatto delle attività umane sugli ecosistemi: tema al centro del Wed di quest’anno. Le più recenti valutazioni degli esperti in biodiversità parlano di un’accelerazione del tasso di estinzione, che avrebbe ormai superato di alcune migliaia di volte quello dovuto ai soli fattori naturali. Su circa cento milioni di specie esistenti sul pianeta, almeno diecimila ogni anno starebbero scomparendo a causa del nostro sviluppo non sostenibile. Con questo pesante fardello di colpe sulle spalle, le Nazioni Unite intendono fare della giornata mondiale dell’ambiente qualcosa di più che la solita passerella di celebrazioni retoriche: piuttosto un’opportunità per informare l’opinione pubblica mondiale sulle azioni concrete di riparazione in atto da parte dei vari organismi ambientali e, soprattutto, per svolgere campagne educative rivolte ai giovani.

RISORSE - «Bisogna aver chiaro che tutto l’impianto degli ecosistemi planetari genera risorse e servizi per lo sviluppo dell’umanità valutati, in termini economici, più di 70 mila miliardi di dollari ogni anno», ha dichiarato il direttore generale dell’Unep Achim Steiner, alla vigilia del Wed a Kigali (Ruanda). «Ne consegue che la cattiva gestione o l’aggressione agli ecosistemi può avere effetti economici negativi ben più gravi dell’attuale crisi economica. Gli investimenti per il recupero degli ecosistemi naturali offesi sono da considerare un necessario investimento redditizio, piuttosto che un onere passivo».

AZIONI - Il responsabile dell’Unep ha pure annunciato una serie di azioni di successo attualmente in fase di sviluppo in varie località del mondo, con il concorso di programmi ambientali nazionali e internazionali. Per esempio, in Ruanda, Congo e Uganda, norme e controlli più severi attuati nei territori montani in cui vivono i gorilla resi famosi dalla zoologa Dian Fossey (e dal film interpretato da Sigourney Weaver), hanno fermato la strage di questi animali, i quali stanno incrementando la loro popolazione. Il loro territorio, trasformato in stupendi parchi naturali, è ora meta di pellegrinaggio di turisti e studiosi da tutto il mondo. A Istanbul in Turchia, nell’arco di due decenni il sistema di depurazione delle acque, prima riservato a poche centinaia di migliaia di abitanti, è stato esteso a 9 milioni di cittadini (il 95% della popolazione), determinando la rinascita di corsi d’acqua superficiali e sotterranei che erano diventati inutilizzabili a causa dell’inquinamento. In India e in Vietnam il recupero di migliaia di ettari di terreni popolati da mangrovie (formazioni vegetali dei litorali bassi), ha riacceso la vita animale e vegetale, con vantaggi economici enormi per l’industria alimentare locale.

UNEP - Istituita nel lontano 1972, contestualmente alla fondazione del Programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nation Environment Programme), la Giornata mondiale dell’ambiente viene celebrata contestualmente in molte capitali e città del mondo, ma ha come principali punti di riferimenti due vertici internazionali, uno a Kigali, nella capitale del Ruanda, l’altro a Pittsburgh, negli Stati Uniti. A Kigali il direttore dell’Unep, oltre a presentare il rapporto sul recupero della biodiversità intitolato Dead Planet, Living Planet: Biodiversity and Ecosystem Restoration for Sustainable Development, presenzia a una suggestiva cerimonia di battesimo dei gorilla di montagna. A Pittsburgh la maggior parte delle relazioni presentate ha come il tema dominante l’idrosfera del nostro pianeta e la necessità di preservarla dall’aggressione dei prodotti inquinanti: un tema quanto mai attuale, che era stato scelto prima del disastro petrolifero nel Golfo del Messico. In Italia le iniziative del Wed sono indirizzate prevalentemente agli studenti, con il lancio da parte delle ministre Gelmini e Prestigiacomo di un progetto da un milione di euro riservato alle scuole per realizzare progetti di educazione ambientale.


Fonte:


http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/speciali/2010/giornata-mondiale-ambiente/notizie/giornata-mondiale-ambiente-foresta-martin_4599f930-6fec-11df-b547-00144f02aabe.shtml


venerdì 21 maggio 2010

The Best of

Because every country is the best at something



Il sito Informationisbeautiful.net ha stilato la mappa mondiale dei "best of" dalla quale emerge che il record di bevitori di caffè lo vanta la Norvegia vanta il record di bevitori di caffè. E mentre gli Stati Uniti devono vedersela con il triste primato dei serial killer, il confinante Canada assiste al boom dei bevitori di succo di frutta.
E se siete curiosi di sapere in cosa "eccelle" l'Italia eccovi accontentati: siamo i primi nel numero dei parti cesarei (la fertilità è da tutt'altra parte: Mali).

I dati - spiegano i gestori del sito - sono in continuo aggiornamento. E per i pignoli c'è l'elenco delle fonti consultate. Nella bacheca compare pure un messaggio di scuse rivolto alle donne slovacche: al loro Paese era stato appioppato erroneamente il "best of" di sovrappeso femminile, in realtà messicano (insieme al numero di network tv). Come è facile immaginare, nella mappa si può andare a caccia di curiosità, ma anche di faccende più serie. Nel primo gruppo potrebbero finire i maiali della Cina, i fichi della Turchia, le farfalle del Perù, le banane dell'Ecuador, l'orchidea Phalaenopsis di Taiwan. Nel secondo la mortalità infantile in Angola, i suicidi in Lituania, le donne disoccupate della Bielorussia, le mutilazioni sessuali femminili in Gibuti, la cocaina in Colombia, l'ecstasy in Olanda, le malattie intestinali nel Tajikistan, l'oppio dell'Afghanistan. Ma anche le donne parlamentari del Belgio (attenzione: il dato potrebbe suscitare qualche invidia), le laureate in Islanda, i dottori di Cuba, i posti letto negli ospedali svizzeri.

Fonte:

http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_21/record-paesi-mondo-italia-parto-cesareo_62d1d482-64e8-11df-ab62-00144f02aabe.shtml

http://www.informationisbeautiful.net/visualizations/because-every-country-is-the-best-at-something/#

lunedì 8 febbraio 2010

Bevuto troppo? A Roma c'è chi vi riporta a casa




Ognuno può fare della propria vita ciò che vuole, ma nessuno può permettersi di mettere in pericolo la vita degli altri.

Da qualche tempo a Roma e ai Castelli Romani è possibile usufruire di alcuni servizi che permettono il ritorno a casa evitando i pericoli che il mettersi al volante alcolizzati comporta.

Safety Driver
Si chiama Safety Driver. E il bigliettino di presentazione lo trovate nei locali della Capitale: “Non ti mettere in cammino se la bocca sa di vino”. Quindi la proposta: “Hai bevuto? Riportiamo a casa te e la tua auto”. Un numero da chiamare (331/2868030 o 06/8543019), come per il taxi, ed ecco arrivare un autista che guiderà per voi senza rischi, evitando la grande scocciatura, che spesso impedisce di rivolgersi magari a un taxi, di tornare il giorno dopo a prendere la macchina.

Il servizio è attivo dalle 22,30 fino alle 5 del mattino. Gli autisti raggiungono il locale con un motorino pieghevole e molto piccolo, tanto da poter entrare anche dentro il portabagagli di una Smart. Accompagnano i ragazzi (o anche gli adulti, nessuna discriminazione) a casa; e al ritorno, se si sono allontanati troppo, arriva a prenderli un furgone, che li riporta nel punto da cui partono.

Il costo del servizio è di 20€ nella zona interna al Grande Raccordo Anulare,e aumenta a 30 e 40 € a seconda della distanza, coprendo tutta la provincia di Roma. Ovviamente se si è in più persone è possibile dividere il costo tra tutti i passeggeri. (Per una visione dettagliata delle zone e dei relativi costi si rimanda al sito internet http://www.togaproject.com/safety-driver/)

NUMEROVERDE_800.58.92.63


Notturno Bus
Tutti i venerdì e sabato con notturnobus è possibile raggiungere con gli amici su autobus granturismo il centro di Roma da Frascati (transito a Grottaferrata e Marino), Albano (transito a Ciampino), Velletri (transito a Genzano e Ariccia) e Nettuno (transito ad Aprilia e Pomezia) tornando in tutta sicurezza con 2 corse notturne.

Notturnobus è un servizio privato ed esclusivo. Il biglietto per andata e ritorno costa 10 euro ed è possibile prenotare la corsa direttamente dal sito. Dopo una mail di conferma, il biglietto sarà disponibile in vettura.

E' possibile riservare intere vetture per i gruppi con partenza, destinazione ed orari secondo le esigenze.

Per le linee e gli orari si rimanda al sito internet: http://www.notturnobus.it/discoteche-roma.html


Fonti:

http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Bevuto%20troppo?%20A%20Roma%20c'%C3%A8%20chi%20vi%20riporta%20a%20casa%20(e%20con%20la%20vostra%20automobile)&idSezione=3144

http://www.notturnobus.it/discoteche-feste-roma.html

http://www.togaproject.com/safety-driver/

mercoledì 3 febbraio 2010

Strane leggi in Australia



E' uscito oggi sul Corriere della Sera on-line un articolo su una legge entrata in vigore in Australia che proibisce l'anonimato in Rete nel periodo elettorale. Dato che in questi giorni si discute anche in Italia sul limitare o meno l'utilizzo di alcuni strumenti di Internet (Youtube, Facebook e blog in generale), ho pensato che potesse essere un input interessante per stimolare una riflessione sul tema.

Niente più commenti anonimi su internet durante il periodo elettorale. Se un utente vuole pubblicare un’opinione politica su un blog, un social network o il sito di un giornale deve rivelare il suo vero nome e la casella postale. In caso contrario rischia di dover pagare una multa, insieme all’editore che ha ospitato il commento e che deve conservare i dati in questione per almeno sei mesi. Così stabilisce una legge dell’Australia del Sud, entrata in vigore, silenziosamente, il 6 gennaio e che avrebbe dovuto essere applicata in questi giorni, dal momento che il 20 marzo si terranno le elezioni nazionali.

IL MINISTRO - Ma il condizionale è d’obbligo perché, dopo l’insurrezione di blogger e cybernauti - e come spiega The Sidney Morning Herald è molto probabile che il provvedimento verrà abrogato. A promuovere la legge era stato l’Attorney-General Michael Atkinson (equivalente al nostro ministro della Giustizia) che così replicava ai critici: «Non c’è alcuna limitazione della libertà di parola; ognuno è libero di dire quello che desidera come se stesso, non nelle vesti di qualcun altro». Ma se impedire l’anonimato su internet è una mossa tecnicamente e politicamente spericolata anche per un regime dittatoriale, figurarsi nel caso di una democrazia.

LE REAZIONI - Come si poteva facilmente immaginare, le reazioni non si sono fatte attendere. Dalle proteste di cittadini e internauti alle critiche dell’opposizione fino alla presa di posizione della stampa, con in prima fila il sito dell’AdelaideNow. Ma il peggio è stato quando Atkinson, per difendere il provvedimento e la necessità di fermare l’anonimato in rete, ha tirato in ballo un privato cittadino: «Vi faccio un esempio», ha dichiarato ai media: «Spesso sul sito AdelaideNow compare un certo Aaron Fornarino di West Croydon che mi attacca. Ebbene, quella persona non esiste. È un’invenzione creata dal Partito liberale». Purtroppo per il ministro, Fornarino invece esiste eccome, ed è stato subito intervistato e fotografato dall’AdelaideNow.


LA RETROMARCIA - Forse è stato il colpo di grazia. In ogni caso martedì Atkinson ha fatto clamorosamente marcia indietro sul provvedimento. «La generazione dei blog crede che la legge originariamente sostenuta da tutti i politici e partiti sia troppo restrittiva. Ho ascoltato. Immediatamente dopo le elezioni farò in modo di abrogarla retroattivamente. Sarà anche umiliante per me, ma questa è la politica in una democrazia e ne accetterò le conseguenze». Una capitolazione benedetta anche dal primo ministro dell’Australia del Sud, Mike Rann, che così ha commentato: «L’Attorney-General ha ascoltato. Dunque nessun dibattito sarà soffocato. Nessuna censura politica di blog o commenti online, che siano anonimi o no». Parole sante. Ma soprattutto veicolate via Twitter. Perché in fondo, quando la libertà della rete è garantita, anche i politici cinguettano meglio.

Fonte:
http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_febbraio_03/australia-anonimato-rete_d1aebf4e-10bc-11df-ab8f-00144f02aabe.shtml


Carola Frediani

sabato 30 gennaio 2010

Cibo, territorio e qualità l'Italia è prima in Europa


Quasi sempre si sottolinea che siamo gli ultimi in Europa e nel Mondo. Qualche volta, però, siamo anche i primi.

L'ITALIA è prima in Europa per i cibi di qualità legati al territorio. Un primato che si è consolidato nel 2009 con un vero e proprio sprint: su 50 nuovi prodotti a marchio certificato (Dop, Igp, Stg) ben 19 sono italiani. La classifica generale ci vede in testa con 194 prodotti (il 21 per cento del totale), seguono la Francia con 167 e la Spagna con 129. Sono i dati contenuti nel "Rapporto 2009 sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp, Stg" curato dall'Osservatorio Qualivita.

"L'agroalimentare di qualità parla italiano", commenta Mauro Rosati, direttore dell'Osservatorio. "Ed è un dato che non va letto da solo: parliamo non di nicchie ma di un segmento importante e trainante della cultura gastronomica del paese. Difendere questo tipo di produzione significa limitare l'impatto ambientale dell'agricoltura, tutelare la diversità del paesaggio, creare le condizioni per un rilancio del turismo".

Come ha notato Paolo De Castro, presidente della Fondazione Qualivita, proprio il successo del made in Italy rischia di trasformarsi in autogol se le singole aziende si presentano in ordine sparso alla sfida della globalizzazione: "All'estero vogliono mangiare italiano, vogliono mozzarella e parmigiano, ma se esportiamo solo il 14 per cento delle nostre eccellenze agroalimentari, il vuoto sugli scaffali viene riempito da merci italian sounding: imitazioni pirata che sfruttano l'assonanza con un nome italiano e finiscono per fatturare quattro volte più dei prodotti veri. Dobbiamo organizzarci per portare i nostri prodotti dove vengono richiesti".

Per rilanciare l'export ed evitare le truffe legate all'imitazione dei marchi italiani, l'Osservatorio propone una politica che sia orientata verso la difesa rigorosa delle tradizioni dal punto di vista dei disciplinari di produzione, ma che al tempo stesso sia estremamente innovativa e aperta dal punto di vista del marketing e della capacità di innovazione commerciale.

Fonte:

http://www.repubblica.it/ambiente/2010/01/14/news/cibo_e_territorio-1947970/

giovedì 28 gennaio 2010

Obbligo di fumo



Uno sviluppo così rapido porta sempre con se grandi contraddizioni. Difatti in Cina, oltre a tante problematiche più gravi e cruciali, c'è anche chi,in assoluta controtendenza mondiale, pone l'obbligo di fumare.

Sarebbe fiero Mao Zedong, che faceva fabbricare sigarette perfino dentro la cinta del Palazzo Imperiale. Se il resto del mondo si è piegato alle campagne anti-fumo, i dirigenti cinesi della contea di Gongan hanno lanciato la controffensiva: da loro la sigaretta è obbligatoria. Per motivi patriottici e per il bene pubblico. La circolare diramata dalle autorità locali è tassativa: sono tenuti a fumare tutti i dipendenti pubblici, insegnanti inclusi. Chen Nianzu, uno dei notabili municipali, ha spiegato con orgoglio la decisione sul quotidiano governativo Tempi Globali: «È un sostegno alla ripresa, è un aiuto all' economia locale, ed è una bella iniezione di gettito per le finanze pubbliche». Gongan è nella provincia centrale dello Hubei, il cuore della Repubblica Popolare, e va orgogliosa della sua produzione di tabacco. Ed è proprio la marca Hubei ad essere imposta agli impiegati pubblici, niente Marlboro né Camel. C' è anche un preciso target da raggiungere a fine anno, secondo le migliori tradizioni della pianificazione: i dipendenti statali devono far fuori almeno 230.000 pacchetti di Hubei nel 2009. La direttiva di Gongan batte ogni record nella promozione del tabagismo. Ma tanto zelo è superfluo. La Cina è già il regno incontrastato della nicotina. Qui si vendono 2.000 miliardi di sigarette all' anno, un terzo di tutti i consumi mondiali. Il divieto di fumo, teoricamente in vigore in molti luoghi pubblici, è disatteso quasi ovunque.
Ed è per questo che è lecito pensare che l' obbligo di fumare sarà applicato senza troppa severità. Tuttavia le adesioni spontanee saranno molto gradite.

Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/05/06/obbligatorio-fumare-direttiva-shock-in-cina.html

martedì 26 gennaio 2010

Provincia WI-FI


Di tanto in tanto dalla politica e dall'amministrazione pubblica viene fuori qualcosa di buono. Ecco a voi la descrizione di un bel progetto realizzato dalla Provincia di Roma.

Il progetto Provincia WIFI consiste nell'installazione in piazze, biblioteche e luoghi di ritrovo del territorio provinciale di apparati per l'accesso gratuito ad Internet.

Il progetto nasce come il primo nucleo autorevole di una rete federata a cui possano connettersi anche reti di privati o di altre istituzioni. L'idea di base è quella di unire le risorse e condividere i benefici con altre reti pubbliche di biblioteche, istituzioni, centri sociali, centri sportivi e ricreativi.

Non solo creare quindi punti di accesso gratuiti ad internet, ma fornire la connessione a reti di servizio come ad esempio quella delle Università di Roma, dando modo agli studenti di collegarsi alla rete wi-fi della propria università anche senza venire a Roma.

Per fare ciò sono state sottoscritte convenzioni con Comuni, CNR e vari Consorzi

Con il Consorzio Roma wireless e la Fondazione Mondo digitale, si stanno coprendo importanti piazze romane e 50 Centri Anziani. Sempre per la città di Roma, è stata bandita una gara europea per installare, d'intesa con i Municipi, altri 250 hot spot entro il 2010.

Il progetto è aperto al contributo dei privati, esercizi commerciali e associazioni no profit, che possono installare gli access point nei loro locali e, nel rispetto delle norme di legge previste per l'accesso alla Rete, offrire un servizio ai loro clienti o associati.

Fonte:

http://www.provincia.roma.it/percorsitematici/innovazione-tecnologica/progetti/4035