"Pensa come un uomo d'azione, agisci come un uomo di pensiero." (Henri Bergson)

I Nuovi Occhi.
Per tutte quelle iniziative, notizie e tematiche attuali che i mass-media trascurano o trattano con superficialità.
Spesso, infatti, la rilevanza di un tema sembra derivare maggiormente da esigenze di audience piuttosto che dall'importanza che l'informazione stessa dovrebbe richiedere. In quest'ottica gli eventi negativi prevalgono sempre sulle buone notizie, finendo per farci credere di vivere in un mondo peggiore di quello in cui in realtà viviamo.

L'obiettivo del blog è quello di stimolare e incentivare una
riflessione critica riguardo alcuni spunti di attualità che consenta di filtrare le informazioni, ma anche quello di evidenziare ciò che di positivo c'è, le “belle notizie” appunto, che non riescono a emergere perchè sommerse dall'infinità di quelle cattive; riuscire quindi, tramite i nuovi occhi, a osservare e comprendere più profondamente ciò che accade ogni giorno e ci circonda.

giovedì 29 luglio 2010

Energia solare del deserto per illuminare il mondo: il progetto Desertec







Un'idea che promette di dare luce al pianeta sfruttando una porzione desertica grande come la Lombardia


Energia verde e integrazione dei mercati elettrici col Maghreb. Per la Commissione europea è questa la strategia vincente per il futuro dei Paesi membri dell’Unione. È anche, manco a dirlo, il modo più efficace per evitare tragedie ambientali come quella che, da ormai più di due mesi, sta affliggendo il Golfo del Messico e mettendo a serio rischio la credibilità del presidente statunitense Barack Obama.

Per il commissario Europeo all’Energia, Gunther Oettinger, la soluzione auspicabile si chiama Desertec: l’innovativa idea, tutta tedesca, che potrebbe garantire la fornitura di elettricità per i cittadini europei mediante lo sfruttamento dell’energia solare dei deserti del Nord Africa e del Medio Oriente. Qualche giorno fa il piano è stato discusso ad Algeri dallo stesso Oettinger e da Youcef Yousfi, Amina Benkhadra e Afif Chelbi, ministri responsabili dell’energia di Algeria, Marocco e Tunisia. “Sono certo – ha sostenuto al termine del vertice Oettinger – che nei prossimi cinque anni arriverà al mercato europeo la produzione elettrica dei primi impianti localizzati nell’area nord africana”. Per il commissario la strada è ancora lunga – si parla di 20-40 anni per portare a termine l’intero progetto – ma fattibile anche se serviranno ingenti capitali per poterla percorrere.

Il principio cardine di Desertec si fonda sullo sfruttamento dei raggi solari nelle zone desertiche che verranno trasformati, grazie all’uso di grandi impianti, in vapore che, a sua volta, attiverà una turbina che genererà elettricità come una comune centrale. I numeri prospettati dal consorzio Desertec, responsabile del progetto e formato da 12 aziende, sono davvero impressionanti: basterebbe coprire con campi collettori tre millesimi di area desertica, 40 milioni di km quadrati, per soddisfare la domanda energetica mondiale equivalente a 18 mila TW/h all’anno.

L’obiettivo fissato ad Algeri con un piano d’azione concreto sottoscritto dai responsabili dell’Energia è, per ora, molto meno ambizioso e punta a rifornire nei prossimi cinque anni l’area EUMENA (Europa, Medio Oriente e Nord Africa) grazie all’attivazione di un progetto pilota. La porzione elettrica destinata al fabbisogno degli abitanti del Vecchio Continente sarà, per il momento, solo del 15 percento. Ma l’impegno di Bruxelles sembra essere molto serio in virtù dell’approssimarsi della scadenza, fissata entro il 2020, dell’obbligo per l’Ue di produrre da fonti verdi il 20 percento della sua energia totale. Desertec, secondo quanto sostenuto da Oettinger, potrebbe permettere di raggiungere questo e altri risultati visto che, come sostiene Gerhard Knies, il presidente del Consiglio di vigilanza del consorzio, “In meno di sei ore i deserti ricevono più energia dal sole di quanto l’umanità ne consuma in un anno”. Per i promotori della piattaforma, fra cui l’italiana Enel Green che è entrata nel consorzio a marzo, i vantaggi sarebbero più d’uno. Con un lavoro costante volto alla costruzione della rete di collegamento sottomarina destinata al trasporto di tutte le forme di energia non inquinante, la rete Desertec potrebbe, con un’area di impianti estesa quanto la Lombardia, dare accesso sufficiente all’energia al 90 percento della popolazione mondiale. Nessun problema neanche per quanto riguarda le distanze dal momento che le linee moderne di alta tensione che si useranno manterranno il livello delle perdite di energia sotto il 3 percento per ogni 1000 km. E ancora, potranno attivarsi nuovi posti di lavoro nei paesi del Maghreb: per la costruzione di un pannello da 250 MW saranno impiegate mille unità fra operai e ingegneri per circa 2-3 anni. In più, l’enorme quantità d’energia, basterà anche per desalinizzare grosse quantità di acqua marina che sarà destinata a quei Paesi che già da ora arrancano a trovare risorse disponibili di acqua potabile. Gli studi già effettuati sostengono che con un campo di collettori da 250 MW e una turbina da 200 MW si potranno depurare 100 mila metri cubi d’acqua al giorno: più di 4 milioni di litri all’ora.

Nonostante i vantaggi sulla carta c’è già chi solleva numerose obiezioni. In primo luogo sulla voce “costi d’opera” che, secondo un primo preventivo, ammonterebbero a 450 miliardi di euro: necessari a costruire 20 linee di trasmissione da 5 GW l’una. Un’enormità che, rassicurano dal consorzio, potrebbe essere raggiunta da subito “con le misure adeguate come le tariffe fisse, già sperimentate in Spagna e Germania. La necessità di questi provvedimenti – aggiungono da Monaco – si ridurrebbe o sparirebbe se si sopprimessero le sovvenzioni statali alle energie fossili o nucleari e si fabbricassero componenti su larga scala”. Attualmente le tariffe sarebbero proibitive se si pensa che sull’elettricità generata dal sole graverebbe una spesa che oscilla fra i 125 e i 130 euro per MW/ora contro i 48 euro dell’energia prodotta da centrali a carbone. Uno sforzo economico che, tuttavia, potrebbe diminuire con la standardizzazione del prodotto che, quando definitivamente operativo, potrà garantire un perfetto equilibrio domanda/offerta e, quindi, evitare gli sprechi. Così come sarà assicurata la disponibilità di elettricità anche durante la notte e i periodi di eccessiva nuvolosità visto che la super-griglia di collegamento potrà essere usata anche per il trasporto di gas e biocombustibili. Il procedimento è già operativo dal 1985 in California dove più di un’azienda vi ha fatto ricorso per uso commerciale. Il taglio economico coinvolgerebbe anche, leggi caso BP, i costi addizionali diretti o indiretti per possibili danni ambientali e per l’eliminazione di scorie nell’ambiente.

Cosa manca dunque? Dal consorzio ripetono che l’unico elemento che impedisce l’avvio del progetto è la mancanza di un quadro politico solido in alcuni stati che saranno i potenziali produttori di elettricità solare. Non sembrano bastare le previsioni degli ideatori che sostengono “In caso di una interruzione volontaria di fornitura, i Paesi produttori perderanno immediatamente le entrate provenienti dalla vendita di energia, al contrario di quanto accade per le energie sviluppate dai combustibili fossili che possono conservarsi e vendersi in un secondo momento a prezzo più alto. A questo si sommerebbe la perdita di fiducia nelle nazioni del Medio Oriente e del Nord Africa da parte dei loro clienti e dei futuri finanziatori”. Questi ultimi, sia pubblici che privati, per quanto estremamente interessati all’affaire, non metteranno un centesimo senza aver precedentemente ricevuto garanzie sulla sicurezza dei propri investimenti.

di Antonio Marafioti

Fonti:

- http://www.desertec.org/downloads/summary_it.pdf;

- http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/05/energia-solare-del-deserto-per-illuminare-il-mondo-la-soluzione-ai-disastri-ambientali/36556/

lunedì 19 luglio 2010

La lotta delle formiche

Qualcuno lo dice: Non è solo il paese dei furbi.
Finalmente - forse - si comincia a muovere qualcosa.




La lotta delle formiche.
Quell’Italia che fa ancora il proprio dovere




Buongiorno. Sono il signore che paga il biglietto del tram. La volontaria che assiste gli anziani soli. Il cittadino che non evade le tasse. La signora che chiede per favore. Il pensionato che fa la coda negli uffici. La dirigente che sa ascoltare. Il medico che non guarda l’orologio. L’artigiano che non bara sui conti. Lo studente che non crede alle lotterie.

Io non sgomito. Non appaio. Non cerco scorciatoie. Non mi arrendo. Lavoro a volte anche per gli altri. Mi fermo sulle strisce. Non getto mozziconi nelle strade. Aspetto il mio turno per parlare. Non parcheggio sul marciapiede e neanche in seconda fila. Faccio il mio dovere. Studio, perché penso sia importante per vincere i concorsi. Vado a votare e non al mare. Mando i miei figli alla scuola pubblica. Non penso a veline o tronisti. A volte inseguo le mie passioni..

Lettere dal Paese dei Nessuno, dall’Italia dei (cittadini) dimenticati che scrivono ai giornali per avere una speranza e riassumono il declino di un vivere comune, intaccato da una terribile domanda: ma chi te lo fa fare? Giovani che si spaventano: «Ho paura per il futuro mio, del mondo, di tutti, non riesco a vedere il prosieguo della storia che il presente ci sta raccontando» (Martino, vent’anni). Anziani che si deprimono: «Sono avvilita, disgustata. Tutti rubano, tutti mangiano, tutti si fanno appoggiare o raccomandare. Se non sei così ti tagliano fuori » (Barbara, settantacinque anni). Ragazzine che si interrogano. Come Giulia. Storia esemplare che non fa notizia, ma indica il retropensiero che aleggia su di noi quando prendiamo un impegno: ne valeva la pena?

Per tutto l’anno, finite le lezioni, due volte la settimana, Giulia si fa cinquanta chilometri per frequentare la scuola di ballo più famosa d’Italia. E dopo due ore alla sbarra e cinquanta chilometri di ritorno, è di nuovo a casa a fare i compiti. È brava, in classe e nella danza. Non ha tempo per playstation, Xbox, non si stordisce davanti alla tv. La vedi in giardino alla prima chiazza di sole esercitarsi nei passi e nelle ruote: su una mano, su due mani, di lato. Se riuscirà a continuare sarà ammessa alla frequenza quotidiana: vorrà dire la scuola, poi cinquanta chilometri, la lezione alla Scala, altri cinquanta chilometri, i compiti e così via, salvo i giorni delle prove per gli spettacoli, quando sarà impegnata fino a sera. Per anni e anni, ogni anno nel timore di non passare: pena l’esclusione dalla scuola di danza.

Già da ora qualche amica comincia a non capire. Si domanda il perché di tanto impegno, tanto stress, tanta fatica. Si chiede perché Giulia si diverta ad andare avanti e indietro rinunciando a molte cose divertenti, quando basta apparire in una trasmissione tv o ancheggiare un po’ per raggiungere lo stesso obiettivo: uscire dalla mischia, avere un posto in prima fila. Si spendono milioni di euro in tv per valorizzare pupe, veline e anche velone. E si sbeffeggia più o meno involontariamente chi ha scelto un impegno, chi fa coscienziosamente il proprio lavoro. «Pagano ancora il sacrificio, lo studio, la fatica in questo Paese?», è la domanda che Giulia invia nel pozzo delle mail, cercando una non scontata risposta.

C’era una come lei una volta a Milano. Era figlia di un tranviere. Coi sacrifici e con il talento è diventata Carla Fracci. Ma non c’è più il futuro di una volta, scrivono oggi i writer sui muri. Nel paradosso temporale di un graffito il semiologo Francesco Casetti legge il bisogno di un’aspettativa non banale. «Si invoca il futuro, che non c’è ancora, non a partire dal presente, ma dal passato che non c’è più. Ieri c’era il senso del domani: oggi questo senso manca. E si deve andare a ciò che non c’è più (lo ieri) per poter recuperare ciò che non c’è ancora (il domani)».

Bisogna affidarsi alla memoria, allora, perché le opportunità non stanno nell’orizzonte geografico dei vari Nessuno che rumoreggiano dalle caselle della posta. Rispetto a ieri, la ragnatela di intrallazzi ha inquinato l’aria e ristretto i confini del galateo civico, come ha scritto Sergio Romano. «Il declivio del nostro vivere comune è intaccato dai comportamenti scorretti, a volte spregevoli, diventati prassi abituale», è la tesi di Maurizio Viroli, che alla decadenza delle buone pratiche ha dedicato una lunga riflessione e un libro dal titolo esplicito (La libertà dei servi, Einaudi).

«Quando si dirà che c’è un Paese anche per i Nessuno che tirano la pialla?», sollecita una dottoressa che a quarant’anni ha strappato il contratto definitivo di assunzione. Le donne in medicina faticano parecchio a trovare un posto, scrive: quando sono brave e competitive, non allineate allo standard della rampante o dell’amica del boss, le stroncano subito. Se hanno dei figli vengono penalizzate. Se si danno troppo da fare vengono redarguite. Se non si allineano, sono emarginate. Il mobbing nei reparti è prassi abituale. Senza sponsor politici negli ospedali difficilmente si fa carriera...

Si vagheggia un new deal civico, la scoperta di nuovi eroi. Si chiede un sussulto alla politica. Massimiliano Panarari, docente di Scienze politiche all’Università di Modena (L’Italia da Gramsci al gossip, Einaudi) profetizza l’abbattimento dell’impasto micidiale che alimenta la sottocultura e l’antipolitica. Ma non a breve: «La visione del mondo in Italia è basata troppo sull’irrealtà». Lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli è ancora più scettico: «Io ho paura che questa società non si domandi più nulla, chieda solo e soltanto tecnologia: la tecnologia svuota, modifica i comportamenti, ci indica quel che serve a sopravvivere bene ma non risolve il senso della vita. A poco a poco stiamo diventando dei primitivi tecnologizzati in una civiltà dell’ingiustizia».

Poveri Nessuno, abbarbicati alla speranza di un Paese normale dove buongiorno, come diceva Zavattini, vuol dire davvero buongiorno. Formichine inattuali nel generale appiattimento verso la società della convenienza, che rischiano di essere schiacciate tra scarpe gigantesche e pietraie desolate, come immaginava vent’anni fa Anna Maria Ortese in un memorabile racconto milanese. Un bimbo, scivolato per disgrazia sotto le ruote di un tram, che offre al padre angosciato una riflessione fulminea sul senso della vita: «Noi siamo come le formiche, vero, papà?».

Bisogna forse dire «Basta!», come fa il designer Giancarlo Iliprandi che dal Politecnico di Milano teorizza un movimento culturale per cambiare aria e mette tra i capifila un grande centenario come Gillo Dorfles. «Basta a quello che non ci piace/ Basta senza sporcare i muri/ Basta per comunicare la voglia di cambiare».

O chiamarsi fuori, come Luca Goldoni, investigatore di lungo corso dei comportamenti nazionali, che a un certo punto si è reso conto di non abitare più nello stesso Paese in cui era nato. «È successo quando ho letto di una telefonata intercettata tra l’amica di un politico e un’ex compagna di classe in attesa di un provino tv. "Non c’era verso di farmi dare un contratto", diceva una. E l’altra: "E come hai fatto a ottenerlo?". "Non c’era modo di convincerlo". "E allora?". "E allora gliel’ho data"».

Non importa chi sei, ma chi conosci, si filosofeggia dai blog studenteschi. Servirebbe un antivirus alla cultura della convenienza, «perché se non ricostruiamo una società fondata sui doveri reciproci non sapremo nemmeno più godere dei nostri diritti », spiega Viroli. Servirebbe qualche gesto di coraggio in un Paese ricattato dall’egoismo e dalle cricche. «Cominciamo a difendere i Nessuno mettendo qualche sassolino nelle scarpe dei grandi — dice don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus — e facciamo qualcosa per le vite di scarto, magari scuole per i bocciati da questo sistema poco umano, come don Milani a Barbiana». Esempi, responsabilità, impegno, pulizia morale: l’unico parametro legalmente riconosciuto non può essere quello del denaro, scrivono in tanti. Poi un cittadino indignato lascia cadere una domanda. «Chi è arrivato in alto con gli intrallazzi, può avere soprassalti morali?». Noi, come le formichine della Ortese, dobbiamo sperare. Ma è legittimo dubitare.

Giangiacomo Schiavi
18 luglio 2010

Fonte:

- http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_18/schiavi_senso_civico_605a76ec-9296-11df-929c-00144f02aabe.shtml